sabato 5 giugno 2010

Liceo Alberti Cagliari


Liceo Scientifico Alberti –
Cagliari
Anno scolastico 2009-2010
Classe 4 H

Non sporcate i
divini cristalli!

Approfondimento di storia della scienza


Autori:
Filippo Carrusci
Giovanni Tronci
Claudia Bortolussi
Valeria Bizzarro
Virginia Loddo

Grafica
Filippo Carrusci


Coordinamento e revisione
F.Toxiri
G.Monello


Questo modo di filosofare tende alla
sovversion di tutta la filosofia naturale,
ed al disordinare e mettere in conquasso
il cielo e la Terra e tutto l'universo

(Simplicio nel Dialogo sopra
i due massimi sistemi del mondo,
Giornata prima)


La più antica e potente emozione
umana è la paura, e la paura più
antica e potente è la paura
dell’ignoto

(H.P.Lovecraft)




(Idee testarde)
Neppure una volta?
Cesare Cremonini fu uno dei più illustri aristotelici del '600. Emiliano, ebbe una vivace amicizia con Galileo nonostante le divergenze su diversi argomenti. La tradizione vuole che Cremonini da convinto aristotelico non abbia voluto nemmeno una volta guardare attraverso il cannocchiale, convinto sia delle sue tesi aristoteliche, sulla inalterabilità dell’universo; sia del fatto che le “fantomatiche” macchie sulla luna viste da Galileo fossero - come dicevano altri scettici - nient’altro che illusioni ottiche e ombre generate dallo stesso strumento. In una lettera a Galilei del 29 Luglio 1611, Paolo Gualdo riferisce, però, che, dopo aver chiesto a Cremonini le sue opinioni sulle nuove osservazioni celesti, quello così rispondesse,

Quel mirare per quegli occhiali m'imbalordiscon la testa: basta, non ne voglio sapere altro.

Stando al significato preciso di queste parole, e volendo fare i pignoli, possiamo chiederci: siamo proprio del tutto sicuri che Cremonini non abbia, in realtà, guardato –almeno qualche volta – attraverso il temuto cannocchiale? Sennò come gli si sarebbe potuta “imbalordire” la testa? In effetti sarebbe veramente strano che si fosse totalmente rifiutato di fronte ad una richiesta che veniva da un amico e collega che stimava. Supposizioni: il giallo riguardante la avvenuta o meno “sbirciata” nel cannocchiale persiste tutt'ora.

Giovanni Tronci


il lato oscuro della perfezione

La precisione, la meticolosità, il “perfezionismo” sono sempre state doti apprezzate e ricercate. Si pensi al virtuosismo di un pianista o di un chirurgo, ad esempio. In effetti però, il concetto, può avere come una doppia identità; un po’come Dottor Jeckil e Mister Hyde. Infatti, così come in un'unica persona erano concentrate due identità differenti, una buona ed una cattiva, così nel perfezionismo possiamo trovare un lato buono, se lo intendiamo come dote; ed uno cattivo, se lo consideriamo come fatto psico-patologico. Sul tema sono stati condotti diversi studi da due scienziati canadesi, il Prof. C. Todorov e il Dr. Baziner. I due studiosi hanno dato il “la” per una serie di ricerche che si sono poi estese su scala mondiale. I risultati ricavati dalla osservazione di diversi soggetti, hanno fatto capire ai ricercatori, che le modalità con cui si manifesta questa malattia sono differenti. L’identità cattiva, sembra manifestarsi, secondo S.J. Blatt, in 3 diverse forme: orientamento verso gli altri, (richieste impossibili verso gli altri); orientamento verso se stessi, (che definisce standard di prestazione impossibili per se stessi); e modalità sociale, (convinzione che gli altri abbiano nei nostri confronti delle aspettative esagerate e che queste vadano assolutamente soddisfatte, per essere accettati). A loro volta queste 3 forme possono degenerare in depressioni più o meno gravi, e, nelle donne, in gravi forme di anoressia. Per curare il perfezionismo patologico si ricorre alla cosiddetta “cura di fiducia”, con un approccio di tipo cognitivo-comportamentale diretto a “smontare” il sistema di valori fissi e di rigidità assoluta del paziente. Nei casi più gravi lo psicoterapeuta può decidere di ricorrere a farmaci antidepressivi. In definitiva, quindi, una persona è perfezionista in senso patologico, non quando cerca con impegno continuo e totale di ottenere ottimi risultati, accompagnati dalla soddisfazione che da ognuno di essi deriva; ma quando vive nella più completa insoddisfazione, costantemente alla ricerca di una impossibile “perfezione del perfetto” che esorcizzi le sue paure.
Possiamo a questo punto chiederci: c’era del perfezionismo nella testardaggine con cui Cremonini rifiutava il cannocchiale? E se perfezionismo, smodato amore per l’ordine e la simmetria, sono spesso sintomi nevrotici, c’era qualcosa di “ossessivo” nel suo comportamento? Non possiamo escluderlo. Forse egli temeva che quel potenziale disordine introdotto nei cieli da Galileo, fosse l’inizio della fine di tutto un suo ordinato e felice universo mentale!

Filippo Carrusci



(idee testarde)
La peste manzoniana e i medici uccelli
Nel 1629-30, con i lanzichenecchi entrò in Italia la peste, di cui parla Manzoni nei Promessi sposi. I medici portavano avanti due differenti modelli teorici . Il primo, prevalente, era la cosiddetta dottrina aeristica (o astrologico-miasmatica) che sosteneva che la peste fosse dovuta a particolari influenze degli astri sulla terra e che considerava l’aria come l’elemento di principale diffusione. I terremoti provocati dalle influenze, lasciavano uscire dalla terra gas velenosi che inquinavano l’aria e provocavano la malattia. Questa teoria era accettata dai medici di impostazione aristotelica.
Il secondo modello era la dottrina contagionistica, secondo la quale la peste veniva trasmessa attraverso un qualche indefinito veleno che non stava nell’aria ma passava di uomo in uomo.
Le autorità sanitarie per evitare che il male dilagasse, imposero l’ isolamento dei paesi in cui si erano presentati i primi casi, mediante la chiusura delle strade e facendo bruciare mobili e vestiti delle persone infette. Nei fatti, quindi, l’idea di contagio operava anche tra i medici che rifiutavano quel tipo di spiegazione. Le persone infette venivano portate nei lazzaretti, dove ricevevano cure gratuite; mentre i ricchi potevano decidere di essere curati privatamente nelle loro case. La peste invase tutto il nord Italia. A fine maggio 1630 sembrò essere cessata, ma a giugno il morbo riprese, facendo ancora grande strage. La cosa più singolare era l’abbigliamento dei medici che, quando si recavano nelle case dei malati, oltre a fare uso di aceto come disinfettante, indossavano una specie di lunga toga incerata, e una maschera dotata di occhiali e di un lungo becco contenente un filtro di spezie che avrebbe dovuto depurare l’aria. Parevano degli strani e un po’ lugubri uccelli.

Virginia Loddo



Non mancarono già de' così pervicaci e ostinati, e tra questi de' constituiti in grado di pubblici lettori, tenuti per altro in grande stima, i quali, temendo di commettere sacrilegio contro la deità loro Aristotele, non vollero cimentarsi all'osservazioni, né pur una volta accostar l'occhio al telescopio; e vivendo in questa lor bestialissima ostinazione, vollero, più tosto che al lor maestro, usar infedeltà alla Natura medesima.
(“Vita di Galileo”, 1717, Vincenzo Viviani)


idee testarde
lenti? Meglio le civette

Nel 1583 George Bartisch accusa gli occhiali di non avere capacità effettivamente correttive e invita i portatori di questi curiosi strumenti a far uso di "un buon purgante che pulisca il corpo dagli umori superflui, che rischiara di più; e contro i mali oculari dovuti a stregoneria, portare al collo il cuore e gli occhi di civetta essiccati all'aria…



Dalle stelle ai topi

La generazione spontanea è la vecchia dottrina secondo la quale piccoli animali quali insetti, anfibi e pesci si genererebbero spontaneamente dal fango o da sostanze in decomposizione. Questa teoria ha radici antiche: i Cinesi credevano che gli afidi nascessero dal bambù, gli indiani che le mosche derivassero dallo sporco e dal sudore; per i Babilonesi il fango generava vermi, pesci e rane; ed anche il greco Aristotele condivideva questa opinione pensando ad un “principio attivo” vitalizzante, capace di organizzare la materia inerte, trasformandola in esseri viventi.
Jean Baptiste Van Helmont, medico e chimico fiammingo (1577-1644), sosteneva che i topi nascessero per generazione spontanea, e approntò, a sostegno della sua ipotesi, un esperimento (riportato nella sua opera postuma Ortus medicinae) famosissimo e incredibile.Come fare per ottenere i topi? Questa la ricetta: per 21 giorni lasciare una camicia sudicia a contatto con dei chicchi di grano. Il “principio attivo” aristotelico, secondo Van Helmont, era, in questo caso, il sudore umano della camicia sporca. Ovviamente, diremmo oggi, non aveva previsto l’esperimento di controllo; ma è già significativo che i 21 giorni sono proprio quelli che servono ad una topina gravida per dare alla luce i suoi piccoli. Saranno Redi, Spallanzani e Pasteur a “sistemare le cose” e a porre fine a tali “innocue allucinazioni”.
Ma le radici della generazione spontanea sono assai difficili da estirpare: ancora negli anni Ottanta un’alunna, riferiva seriamente d’aver sentito che un capello posto dentro una bottiglia piena d’acqua avrebbe immancabilmente prodotto un’anguilla; ma solo se lungo e nero e rigorosamente “a marzo”; ma eravamo alla fine dell’anno… e non se ne fece niente. Poi, l’anno seguente, altra scuola, altre storie.

Ecco la ricetta di Van Helmont nella sua versione autentica,

“Lascia una camicia sporca o degli stracci in un contenitore, come una pentola o un barile, aperto, contenente alcuni chicchi di grano o mangime e in 21 giorni appariranno dei topi. Vi saranno esemplari maschi e femmine adulti e in grado di accoppiarsi e riprodurre altri topi.”

Francesca Toxiri


L’aristotelico più famoso, quello immaginato.

Il ritratto di don Ferrante serve al Manzoni per darci un altro elemento della mentalità del seicento. Don Ferrante è il tipico intellettuale del suo tempo, convinto di avere trovato una verità definitiva su tutto.
Egli passa numerose ore nel suo studio, dove ha una grande raccolta di libri, poco meno di trecento volumi. Si interessa soprattutto di astrologia, e non ne conosce soltanto le nozioni generiche e il vocabolario, ma sa parlare con competenza degli influssi delle stelle sul destino degli uomini, della posizione degli astri e del loro allineamento sulla stessa longitudine celeste: le famose congiunzioni. Per quanto riguarda la filosofia, Don Ferrante è un fanatico sostenitore della dottrina di Aristotele che egli definisce “il filosofo per eccellenza”. Anche se, aggiunge con ironia il Manzoni, Aristotele lo aveva “più letto che studiato”.Come sappiamo in quel periodo a Milano infuriava la peste e l’opinione di Don Ferrante al riguardo, era che tutto ciò che accadeva era da ricondursi alla “fatale congiunzione” di Saturno con Giove. Ecco un famoso passo in cui egli viene rappresentato mentre denuncia le ingenuità del popolo e gli errori dei medici intorno alla peste:

La c'è pur troppo la vera cagione, - diceva - e son costretti a riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell'altra così in aria... La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s'è sentito dire che l'influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l'influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de' corpi terreni, potesse impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar de' cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno?

(A. Manzoni, Promessi Sposi, cap. 37 )


Immaginandoci Don Ferrante sprofondato nella sua libreria, orgogliosamente convinto di sapere tutto, non possono non venirci in mente le parole del “Dialogo sopra i due massimi sistemi”, in cui Salviati rivolge a Simplicio il famoso ammonimento:

“(…) Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta.”(Galileo, Dialogo sopra i due massimi sistemi, 1632 )

Claudia Bortolussi


brucerete Giove?
brucerete Saturno?


notturno italiano

Difficile possedere i loro occhi. Guardiamo le stesse cose, vediamo cose diverse. Che turbamento era, quello di Dante, sotto un cielo notturno stellatissimo? Impossibile riprovarlo.

Prima, il divino si affacciava sull’umano. Incombevano cieli purissimi e eterni. Occhi e braccia di Dio. Poi, sfacciatamente, prese a circolare un congegno meccanico; rovinò l’incanto, intristì le cose: “l’universo è dappertutto lo stesso: montagne e burroni sono pure sulla luna”. Ecco il veleno. A ben vedere, senza il cannocchiale non avremmo mai avuto l’universo di Cartesio, il Dio senza più posto (nullibi), l’anima senza estensione. Fu esso a spianare la strada a quella modernità tutta enigmi, innocenza perduta, spaesamento. Esso, il legittimo “padre” del noumeno kantiano: il divino non si può vedere ma solo pensare. E vagamente, anche. L’assoluto è totalmente altro. Il medioevo della mente finì quell’inverno, in quella terrazza, in quelle notti passate all’addiaccio, a Padova, Italia.

gigi monello






Professione aristotelico

Fu uno dei più illustri filosofi aristotelici contemporanei di Galileo. Nato a Cento nel 1550, Cremonini studiò a Ferrara dove strinse legami d'amicizia con Tasso; nel 1590 fu chiamato dal Senato veneto a ricoprire la cattedra di filosofia allo studio di Padova. Qui conobbe e divenne amico di Galileo, nonostante la diversità di opinioni su molti temi. Nel 1604, seppure con imputazioni diverse, furono denunciati al tribunale dell'Inquisizione padovana; dalla vicenda uscirono entrambi indenni. Galileo fu accusato di praticare l'astrologia giudiziaria, mentre Cremonini di sostenere l'opinione della mortalità dell'anima umana e di interpretare Aristotele separando nettamente filosofia e teologia. Contro il filosofo seguirono altri due processi, uno nel 1608 e l'altro nel 1611, che non ebbero gravi conseguenze grazie alla protezione della Repubblica. Cremonini fa parte della schiera di quegli aristotelici che si rifiutarono testardamente di accostare il proprio occhio al telescopio per verificare con i sensi quanto Galileo aveva dichiarato nel Sidereus nuncius (Venezia, 1610) . (…) Galileo e il filosofo padovano rimasero sempre su posizioni diverse, ma alla partenza dello scienziato pisano per la Toscana, dove rientrava come Primario matematico e filosofo del Granduca, Cremonini, quasi profeticamente, espresse tutta la propria preoccupazione per l'amico: «Oh quanto harrebbe fatto bene anco il S.r Galilei, non entrare in queste girandole, e non lasciar la libertà patavina».

(Tratto da, http://brunelleschi.imss.fi.it/itinerari/biografia/CesareCremonini.html)



Idee testarde
giurare sopra i maestri
Amo Talete, amo Anassagora, Platone, Aristotele, Democrito, Epicuro, e tutti quanti i principi delle filosofiche sette: ma non fia però ch’io voglia servilmente legarmi a giurar per vero tutto quello che hanno detto o scritto, come lo fa giornalmente la più minuta plebe di molti protervissimi settari; i quali per lo soverchio, e, per dir così, rabbioso amore che portano al capo della loro scuola, non vogliono udire opinioni contrarie a quella, e forzati ad ascoltarle, e da evidenti ragioni alle volte convinti, non sapendo trovare altro scampo o sotterfugio, ricorrono alle cavillazioni, a’ sofismi, ed in ultimo luogo alle strida; e se si vuol far veder loro qualche esperienza, si mettono le mani avanti a gli occhi. E so di certo che un profondo maestro in iscrittura peripatetica, e molto venerabile uomo, per non esser necessitato a confessar vere le non più vedute stelle e l’altre curiose novità ritrovate in cielo dal Galileo, non volle mai all’occhio adattarsi l’occhiale (…)

(Francesco Redi, Osservazioni intorno alle vipere, 1664)



I nervi del peripatetico

(…) Mi trovai un giorno in casa un medico molto stimato in Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosità, convenivano tal volta a veder qualche taglio di notomia per mano di uno veramente non men dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno, che si andava ricercando l'origine e nascimento de i nervi, sopra di che è famosa controversia tra i medici galenisti ed i peripatetici; e mostrando il notomista come, partendosi dal cervello e passando per la nuca, il grandissimo ceppo de i nervi si andava poi distendendo per la spinale e diramandosi per tutto il corpo, e che solo un filo sottilissimo come il refe arrivava al cuore, voltosi ad un gentil uomo ch'egli conosceva per filosofo peripatetico, e per la presenza del quale egli aveva con estraordinaria diligenza scoperto e mostrato il tutto, gli domandò s'ei restava ben pago e sicuro, l'origine de i nervi venir dal cervello e non dal cuore; al quale il filosofo, doppo essere stato alquanto sopra di sé, rispose: "Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d'Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera"

(Sagredo parla a Simplicio, Galileo, Dialogo sopra i due massimi sistemi, 1632)


Idee testarde
Ipotesi ad hoc
Il filosofo aristotelico e letterato, Lodovico delle Colombe, per salvare, comunque, purezza, levigatezza e sfericità della superficie lunare, avanzò la congettura che c'erano sì montagne e vallate, sulla luna, ma che tutto era poi avvolto in un involucro sferico, simile a un cristallo, liscio e perfettamente trasparente.


“Ai sensi e all’evidenza non mi arresi,
probabilmente per amor di tesi”

“Quanti e quali siano i vantaggi di questo strumento, così per terra come per mare, sarebbe del tutto superfluo enumerare. Ma io, lasciando le cose terrene, mi rivolsi alla speculazione delle celesti”

(Galileo, Sidereus Nuncius, 1610)



uno sguardo dal campanile

Il primo cannocchiale fu costruito nel 1608, quando gli Stati Generali d'Olanda esaminarono la richiesta di brevetto per "un dispositivo per osservare a distanza", avanzata da un certo Hans Lippershey, un occhialaio del sud-Ovest del paese. Non va dunque a Galileo la gloria di averlo inventato, come ancora molti sostengono. Fu, però, sicuramente lui a compiere il grande passo, che lasciò increduli coloro che non osavano accettare nessun tipo di innovazione che contraddicesse la vecchia astronomia. Galilei ebbe infatti la genialità e il coraggio di puntare verso il cielo il cannocchiale olandese; verso realtà distanti e non verificabili empiricamente, facendolo così diventare telescopio. Nell’agosto del 1609 egli presentò al Senato di Venezia un dispostivo ottico capace di otto ingrandimenti: lo strumento venne provato dal campanile di San Marco alla presenza del Doge ed ebbe un tale successo tra i presenti (ora le navi turche si sarebbero potute avvistare con molto più anticipo), che il governo veneziano stabilì di raddoppiare lo stipendio di Galileo e di confermargli senza scadenza il ruolo di docente nella università di Padova. Nel novembre di quello stesso anno, egli perfezionò lo strumento, portandolo sino a venti ingrandimenti. Quando lo puntò verso il cielo, cominciarono quelli che lui stesso chiamerà i “funerali della scienza aristotelica”. Ma le resistenze non si fecero attendere: Come ci si poteva fidare più di Galileo che della Bibbia? Come si poteva "seppellire" la scienza astronomica di Aristotele sulla base di un discutibile "congegno meccanico"?

Valeria Bizzarro

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